"Se non facciamo progressi nell'eliminazione della fame, nell'emancipazione delle donne e nel sostegno ai giovani, non possiamo parlare di sviluppo sostenibile".
Lo ha detto l'ex segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, alla cerimonia della Giornata mondiale dell'alimentazione nell'auditorium di Expo di Milano il 16 ottobre del 2015.
Secondo Mark Blackden, il maggiore specialista della Banca Mondiale nelle questioni connesse con l’ineguaglianza tra i sessi in Africa, “Nell’Africa sub-sahariana, l’impegno della lotta contro la povertà è stato ostacolato dalla discriminazione di cui sono vittime le donne”.
Raggiungere la parità di genere e dare maggiori strumenti alle donne non è solo la cosa giusta da fare, ma è un ingrediente fondamentale nella lotta contro la povertà estrema, la fame e la malnutrizione, ha affermato il Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva, intervenendo a Roma il 16 dicembre 2016 ad un evento ad alto livello co-organizzato dalla FAO, dalla Commissione europea e dalla Presidenza slovacca del Consiglio dell'Unione Europea, in collaborazione con il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), con il Programma Alimentare Mondiale (WFP) e con UN Women.
"I dati dimostrano che quando alle donne vengono date le opportunità, i rendimenti aumentano, così come i loro redditi, e le risorse naturali sono meglio gestite. Migliora anche la nutrizione e i mezzi di sussistenza sono meglio garantiti".
Questo è il motivo per cui le donne rurali sono attori chiave nello sforzo di raggiungere tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile - ma soprattutto di quello di liberare il mondo dalla fame e dalla malnutrizione - ha aggiunto Graziano da Silva.
L'Associazione Antonio Giaffreda ONLUS, nel condividere appieno questi obiettivi, impegna tutti i suoi sforzi in progetti umanitari che possano fare la differenza proprio in questa direzione.
Il progetto "ANTONIO GIAFFREDA" sulla automatizzazione di alcuni pozzi in Senegal mette in atto un ciclo virtuoso e sostenibile per la popolazione dei villaggi interessati, valorizzando il ruolo delle donne della comunità locale.
Il Progetto, che ha avuto inizio nel 2017 e si è concluso brillantemente nel maggio 2018, è stato realizzato con la costruzione di tre nuovi pozzi elettrificati alimentati da fotovoltaico, oltre alla potabilizzazione di altri tre pre-esistenti, praticamente inutilizzati. I pozzi, destinati sia ad uso potabile che per la coltivazione, consentiranno di triplicare l’estrazione di acqua e quindi la coltivazione di circa cinque ettari di terreno e la vendita dei loro prodotti, attività queste di cui si occuperanno cooperative agricole composte interamente da donne.
Il riconoscimento di un ruolo così importante della donna nell'autosostenibilità di questo progetto, rappresenta certamente un punto di forza per il successo di questo intervento umanitario. Era opportuno e doveroso che alle donne della comunità venisse assegnato un compito che permettesse loro di avere un ruolo attivo e fosse indirizzato verso una loro maggiore partecipazione in attività economiche molto importanti per i villaggi rurali interessati dal progetto. Infatti, non si può non considerare che la donna in Senegal riceve ancora una minore considerazione rispetto a quella riservata all’uomo.
Nel raccontarci la storia di una donna di Dakar, Chiara Barison, dottoranda in politiche transfrontaliere all’Università di Trieste, nel suo articolo “Senegal - Il ruolo delle donne tra tradizione e modernità”, descrive perfettamente il ruolo marginale che la donna è ancora costretta a vivere nella società senegalese. Racconta infatti che le ragazze vengono educate fin da piccole ad assumere il ruolo di mogli e madri, ad essere servizievoli e sottomesse quel tanto che basta per soddisfare non solo il marito, ma anche tutta la sua famiglia. Le bambine vengono abituate ai lavori domestici e spesso fatte andare a scuola il tempo necessario per imparare a leggere e scrivere, capacità più che sufficienti per una donna. A livello sociale vengono inquadrate in modo che la realizzazione massima sia il matrimonio. Tutte le energie e i sogni di queste ragazze saranno convogliate proprio su questo e non, per esempio, su istruzione e lavoro, due opzioni raramente prese in considerazione. La realizzazione sociale maggiore di una donna sarà, dunque, il matrimonio, possibilmente con il miglior partito e, spesso, scelto dalla famiglia, all’interno della stessa, magari uno dei tanti cugini partiti come migranti all’estero. Persino negli auguri fatti da amici e parenti si prega affinché la donna trovi un marito “bravo, buono e generoso” che la possa mantenere e che possa essere generoso anche con la famiglia di lei. La realizzazione della donna passa necessariamente attraverso quella dell’uomo, nell’ottica della sottomissione nei suoi confronti. In casa è il marito che prende le decisioni per lui, per la famiglia e, ovviamente, per la moglie. Essendo in molti casi dipendente economicamente, la donna si trova nella condizione di dipendenza, alla mercé del volere del marito. A livello culturale è talmente forte l’indottrinamento fatto alle ragazze fin da giovani, che trovano davvero soddisfazione nel momento in cui sono servizievolmente impeccabili verso il marito e tutta la famiglia di lui. In molti casi i mariti partono per l’estero come migranti per periodi medio lunghi e le mogli si ritrovano a casa della famiglia di lui relegate ad uno status di (quasi) domestiche, passando le loro giornate a preparare pranzi e cene per la famiglia allargata e a sbrigare i lavori domestici. Per ogni piccola necessità devono passare per il marito. Spetterà a lui decidere se dare denaro e quanto, se comprare le cose e cosa, se dare il permesso alla moglie di andare a un matrimonio, a un battesimo o anche solo a trovare la famiglia quando questa si trova in quartieri vicini o in una città differente. D’altronde, come si dice in Senegal, “mangia il mio pane e canta la mia canzone”, ovvero, se è il marito che provvede ai fabbisogni della moglie, questa a sua volta dovrà sottostare al suo volere e alle sue decisioni, se no rischierebbe il divorzio, che, non essendo in molti casi tutelato, rischierebbe di farla restare senza mezzi per sopravvivere. Le donne che decidono di continuare gli studi o di costruirsi una carriera, si ritrovano dunque a dover svincolarsi dal ruolo che la società impone loro, rischiando di essere sanzionate a livello sociale. Una donna senegalese è realizzata nel momento in cui trova un marito ricco che le costruisce una bella casa, che le dà i soldi quando lei chiede e che aiuta economicamente la famiglia di lei. Non c’è ancora a livello culturale un’idea abbastanza forte che questi stessi bisogni possono essere soddisfatti a partire da una realizzazione propria della donna.
Tutto ciò sta cambiando, ma se vogliamo veramente dare il nostro contributo affinché il cambiamento possa davvero realizzarsi e migliorare le condizioni di vita di tutti, solo attraverso attività cooperazionali dirette al raggiungimento dell'emancipazione della donna è possibile uno sviluppo sostenibile.
Per un approfondimento sul progetto "ANTONIO GIAFFREDA" sulla automatizzazione dei pozzi in Senegal e per conoscere tutti i nostri progetti clicca qui.
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